La luce della notte

domenica, gennaio 03, 2010 - Pubblicato da Dan Angelo alle 10:00


Il sole alzandosi fuori dal nascondiglio dell’orizzonte, con i suoi tenui raggi mattutini, ridava colore alla morbida linea di costa di quell’angolo di mondo. Di lì tra il frastagliato abbraccio tra acqua e terra, un imponente promontorio scosceso si insinuava come una lingua distesa nel blu, delimitando il distacco di due mari. Questi, pur facendo parte dello stesso oceano e per quanto potessero apparire simili, in realtà erano molto differenti. La quiete che dominava quei due mari si diede da parte, lasciando spazio all'arrivo di qualcosa di magnifico. Sul promontorio che sovrastava il paesaggio, venne innalzato un faro.

Ma non era un faro qualunque.

Era qualcosa di maestoso, dalla incredibile bellezza, anche l’essere più scettico davanti a tale spettacolo, doveva mangiarsi la lingua.

Dalla sua grandezza sembrava poter sfiorare il cielo, l’infinito, l’inarrivabile. Appariva giungere da un altro mondo. Ma era di notte che il faro si mostrava in tutta la sua magnificenza. Le sue lanterne erano come occhi profondissimi che brillavano di una luce intensa e misteriosa, e quando erano le stelle a sorvegliare il mondo dall’alto, questa fendeva l’oscurità con i suoi raggi regalando il calore del suo fascio luminoso. Salvezza per i navigatori, la luce illuminava le candide acque notturne come un’affascinante volo radente di un uccello, che pian piano planava sul pelo dell’acqua.

Uno dei due mari, quello minore, avvertendo l'incantevole presenza di quel faro, se ne innamorò. Esso era un mare mal visto dai marinai. Poco pescoso, era spesso caratterizzato da violente tempeste che inghiottivano pesanti relitti naufragati e nella loro discesa ferivano il suo spoglio liscio fondo. Tuttavia le sue acque erano una di quelle più limpide tra tutti gli oceani, profondissime, e anche un sasso gettato nelle sue profondità si poteva osservare nella sua caduta anche dopo diversi metri.

Ma il Faro non illuminava la notte di quelle povere acque limpide, le lasciava nella loro oscurità.

Il suo candido sguardo era destinato alla distesa d’acqua che si estendeva accanto al piccolo mare. Questa era più grande, intrigante. Pura gioia nell'ammirarlo. Le sue acque erano cosi confortevoli e calme che si poteva galleggiare chiudendo gli occhi, facendosi cullare dall’armonioso moto delle sue onde. La costa bagnata dalle sue acque sembrava sorridere beatamente, accarezzata dalla melodiosa movenza di quella distesa azzura. Maestoso e pieno di vita, una moltitudine di esseri acquatici affollavano i diversi paesaggi marini che il suo fondo offriva ai più disparati visitatori.

La luce era tutta sua.

Il mare più piccolo era immobile davanti a tale destino, le sue notti si facevano sempre più buie accecate da quella luminosità lontana. Piangeva. Ma le sue lacrime si perdevano nell'infinità delle acque. Il vento soffiava intento ad accarezzare il pelo dell'acqua come una candida mano su una spalla in segno di rassegnazione.

Tale immobilità era insensata.

Ma il modesto mare, dentro di sè, non demordeva. Non voleva rinunciare a quella insperata felicità. Anche lui avrebbe potuto, prima o poi, poter sfiorare con le proprie gocce d’acqua quella luce incantevole. Aspettava. Sarebbe riuscito ad aprire il proprio vaso di pandora.

Il resto non contava più nulla.

Con ansia, attendeva periodicamente l’arrivo della luna piena, quando per effetto dell’alta marea le sue onde potevano avvicinarsi anche di poco a quel maestoso faro. Significava comunque avvicinarsi.

E un giorno, chi lo sa, la grande torre luminosa si sarebbe voltata verso di lui.

Tutt’ora, chi conosce quel mare, osserva malinconicamente quelle limpide acque spente. Solo in determinate notti sembrava riaccendersi di una fioca luce soffusa. Notti di Luna Piena. La sua salvezza.