Addio o arrivederci

lunedì, luglio 22, 2013 - Pubblicato da Dan Angelo alle 02:35




4.32 del mattino.
Il sole ancora non si era alzato dal letto dell'orizzonte ad accendere l'oscurità della notte, lampi di scintille dell'accendino diventavano fuoco per dare vita a quella sigaretta che come di consueto era diventata un rito a quest'ora. Guardavo fuori dalla finestra osservando le serrande chiuse della gente che dormiva, affinché si ricaricano per un altro giorno che probabilmente sarà uguale a tanti altri precedenti, forse per tutti è l'ora del sonno. Per me no, era  istinto di non conformismo o di disagio sociale cresciuto negli anni, tuttavia quasi mi divertivo a cercare con gli occhi fuori la finestra la luce di qualche camera accesa di un mio simile che piroettava a quell'ora morta. Presto però le mie speranze poetiche si spezzavano nello sciacquone del bagno del panettiere che si alzava per andare al lavoro, mentre l'ombra sulla finestra mi diceva chiaramente "Sì, si sta grattando le chiappe".
Nonostante tutto era bello così, sbuffare il fumo a pochi centimetri dal vuoto allenandomi a guardare di sotto. Penso di aver sempre sofferto di vertigini in qualche modo, però come ogni paura la prendo per mano e me la tengo stretta così guardo giù fino a quando mi va. Col tempo sono migliorato.. sei, sette, otto piani non erano pochi, anzi indagando la mia memoria non mi viene in mente nessuno che si sia salvato da una caduta di otto piani. Mi viene in mente un vecchio film di Kassovitz "La Haine", L'odio, metti insieme ragazzi, polizia, banlieue, scontri, un po di violenza, chi direbbe anche degli sporchi immigrati e boom hai fatto un filmone di quelli che ti spari almeno un paio di volte. E guardando da questa finestra ti torna in mente la frase clue di Hubert "Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene." Il problema non è la caduta, ma l'atterraggio.".
Si, mi sono immaginato varie volte di buttarmi e di sentire quella sensazione in cui stai in aria e cadi cadi cadi.. In quel momento chi sei, cosa sei, cosa pensi. Ma di una cosa sei certo: bang stai per morire. Ma è così profonda la differenza tra la consapevolezza dell'immediato e la spensieratezza di un capolinea futuro ancora non conosciuto? E all'improvviso quella finestra era diventata una fermata del treno, tanto sai dove devi andare!

"Mah" penso tra me e me sbuffando il fumo dalla bocca e in quello stesso momento mi era venuto in mente la vignetta de La profezia dell''armadillo di Zerocalcare dove i brutti pensieri di Camille e Zero se ne stanno seduti uno a fianco all'altra fuori dalla porta, non so esattamente per quale motivo.
La nostra vita è fatta di atomi liberi che corrono, ma colmi del 90% di vuoto e così vuoti siamo noi. La mia non differisce molto, la dipingerei come quella farfalla che nel bel mezzo del bosco vicino alla fattoria del mio caro e defunto nonno, inseguivo cercando di farla mia con il risultato di cadere con il ricordo di una ferita che porto ancora oggi truccata da cicatrice.
E nel frattempo la sigaretta era finita, buttai la cicca dalla finestra e la osservavo sparire sempre più giù nel buio in un quasi cullandosi nell'aria. E' proprio guardando quella cicca che decisi di prendere una corda, la legai saldamente alla valvola del termosifone e mi calai dalla finestra.

4.47 ancora era buio. scendevo.

VII Piano.
C'era questa nonnina che era così particolare a vedersi. Secca, secca, fragile come carta bagnata. Sembrava potersi rompere in qualunque momento e si metteva seduta e rannicchiata con le ginocchia piegate davanti a sé. E lì messa all'angolo era chiusa come una scatolina. Più si allontanava alla vita più lei si faceva leggera: si piegava come le palme di cocco che la han sempre accompagnata durante la sua vita. Un giorno il vento non soffiò più.

VI Piano
Ero piccolo, vivevamo in un piccolo appartamento in un quartiere un po disperso di una Roma nord anni 90'. Faceva freddo quell'inverno e mi ricordo solo un bianco letto di ospedale. Passavo le giornate davanti al Geam Gear della Sega, anche se disgraziatamente spesso dovevo mettermi a pancia in giù per il turno delle punture. La broncopolmonite non mi fermò, mi fece perdere un po di capelli, ma poi andò tutto per il meglio.

V Piano
Era un periodo. Non stavo benissimo, anzi stavo proprio male. Quando sei adolescente o più giovani puoi solo che piangere, non esiste qualcosa che ti possa liberare dai male che del pianto. Avevo paura di rimanere da solo, piangevo, mi faceva male lo stomaco, non riuscivo ad essere sereno. Ma almeno dopo un po le finivo e potevo respirare un po. Tuttavia a volte non riuscivo a starmene a casa, mi misi a piangere all'angolo di una strada perché chiuso in camera nessuno ti può salvare. E un po di passanti ti chiedono come stai e sei hai qualche problema e in quel momento ti salvano: tu dici che va tutto bene, ti alzi e torni a casa.

IV Piano
Pioveva, pioveva ancora qui. Era da una settimana che pioveva solamente, ininterrottamente e quindi vagavo con un libro e una candela in mano. C'era un tempo che quasi odiavo la pioggia, dentro di me è sempre rimasta quella voglia di sole e mi ricordo quando arrivava quel determinato giorno unico e importante, si sperava nel tempo. Erano giorni di nuvole e pioggia grigi come i miei pensieri.

III Piano
Con il tempo ho sempre imparato ad accontentarmi, a cercare di non chiedere mai niente né ai miei genitori né agli amici né a nessun altro. Sono una persona delusa e che delude, poiché non sono mai stato nemmeno in grado di pretendere adeguatamente da me stesso. Non ho paghetta, evito di chiedere soldi ai miei genitori, non mi piace lamentarmi. Sono sotto un anestetico di nome non importa. E così se non importa niente, cosa c'è d'importante? Mi ricorda una persona che mi chiedeva spesso favori, in cambio di un'amicizia che sapeva di falsità.

II Piano
Ero appena uscito dall'operazione all'appendice, ma stranamente avevo un cuore nuovo. L'ospedale e le medicine in realtà ha avuto sempre un riguardo particolare nella mia vita. Non so quante volte ho visto mia madre seduta sul letto di una corsia, con il dubbio che un giorno uno di quei letti prenda e corra via portandosela con se. Avere un corpo guasto e tradire la morte ogni giorno sentendo il "tic tic" dei battiti artificiali, scandendo la giornata a guardare quella busta piena di medicine e pasticche e pensare che quella rappresenti la propria corda che ci lega alla vita. E' crudele.

I Piano
Cos'è stato? Boh. Non lo so più. Io non so niente. Giovane ventenne fresco di estate. Ero così. Quasi brillante apparivo. Così, non sapevo quello che mi sarebbe accaduto lì a poco. Poi tentennai più e più volte nel voler tornare indietro.
"Così resto solo col cielo e altro non vedo e non so ma se tutto è nascosto nel cielo al cielo io ritornerò."

5.23 Terra
Ero riuscito finalmente a scivolare giù lungo tutta la corda fino a giungere a terra con un passettino. Quanto si è sicuri con i piedi per terra, troppo sicuri per me e allora cominciai a correre dentro il palazzo di nuovo e poi verso l'ascensore.
Sanguinavo inchiostro tutte le volte. Era stupido.
Ma sapevo che sanguinare era l'unico modo per uscire da me. Le mani soprattutto lasciavano segni qua e là.

Quando le pareti cominciano a restringesi, quando lo specchio comincia a darti del tu riempilo di ricordi, di speranze, di emozioni, di musica e liti, di illusioni d’epoca. Quindi avevo macchiato ovunque quell'ascensore che in quel momento mi dava un fastidio tremendo, lasciando le le linee delle mie dita ovunque poiché dovevo uscire, asfissiavo. In quel momento odiavo quello spazio stretto, e strabuzzavo gli occhi sulla fessurina vetrata ansioso dell'arrivo. In quel momento l'elevatore sapeva di tomba.

5.33 Alba
Arrivato al mio VIII piano, uscii di corsa da quel buco prendendo un bel respiro. Tornai in camera. I silenzi erano ormai distrutti dal canto degli uccelli e dallo svegliarsi del sole. Oggi la sfumatura dell'alba era qualcosa di meravaglioso e il sole nuovo arrivava a piccoli passi a conquistare il cielo.
Mi riaffacciai alla finestra e presi un paio di forbici con cui tagliare la corda, la quale guardai scivolare giù come la sigaretta precedente."Non mi piace avere i piedi per terra, non sono una persona sufficientemente sicura" pensai tra me e me sorridendo.
Cercando di non far rumore, presi una sedia e la misi vicino alla finestra. A piedi uniti salii sul bordo  in equilibrio, finalmente mi sentivo a mio agio così sempre in bilico.
E così respiravo il sapore di un giorno nuovo con un respiro profondo.

La differenza tra la consapevolezza dell'immediato e la spensieratezza di un capolinea futuro ancora non conosciuto?
Qui c'è la fermata del treno, Addio o arrivederci, quel che cambia sicuramente è il saluto.