Il ritorno a casa

venerdì, aprile 13, 2012 - Pubblicato da Dan Angelo alle 16:13


E' stanca la mente di un sudicio corpo alla fine della giornata. Membra poggiate sul sedile di un autobus notturno e, chiusi gli occhi, il pensiero va a lei e, insieme a lei, la dolce voglia di stringerla accarezzandole i capelli. Strani i sorrisi sul finestrino, spezzati dai lampioni a rompere le tenebre.
I pensieri sono acini di un'arancia che formano l'intero frutto e, come per raccogliere il succo, esplodono in mille sapori, gocce di vernice sulla tela che danno gusto agli umori.
A quest'ora c'è poca gente fuori, anche se gli irriducibili della chiusura dei locali compaiono come figure tremolanti alla ricerca di un equilibrio perso di propria spontanea volontà.
In questi casi guardo la luna, ce n'è una per ogni notte e ognuna è più spontanea, non si fa scrupolo a mostrarsi così piena di sé, mentre altre volte si nasconde e lascia il cielo alle stelle, loro sì che non mancano mai.
Una persona potrebbe paragonarsi alla luna, tanto ridente quanto a volte è schiva o sentirsi più piccola mentre altre volte si sente più grande e importante. Nella luna, una persona rispecchia il proprio ego mentre la fiumana di persone sono stelle infinite che ci circondano nel cielo della nostra vita.
Nel veder i marciapiedi vuoti, io satellite della terra, sono solo nel giorno a vedere questi lampioni come nuvole che passano e corrono. Soltanto che ora è notte.
Scivolo via verso la mia tana, una culla di emozioni, un letto e una coperta di sogni fino alla luce di domani.

Funamboli

giovedì, aprile 05, 2012 - Pubblicato da Dan Angelo alle 17:06


"Ci sono gli attori. E ci sono i funamboli.
Ci sono due specie di persone.
Ci sono quelli che vivono,giocano e muoiono.
E ci sono quelli che si tengono in equilibrio sul crinale della vita.
Ci sono gli attori.
E ci sono i funamboli."

Quotidianità costruita su matasse di fili, così i funamboli della terra camminano sull'aria della terra. Una casa, un reddito, una famiglia, un rapporto: buche da sorpassare sopra un filo che si tende e si abbassa, a volte sparisce. Acrobati a ritmo di pianoforte, come l'affondare di un dito su un tasto e il colmare del cielo in nuvole. Passo dopo passo, allargate le braccia e fare un passo e uno ancora con un piede che insegue l'altro senza fermarsi mai.
Quanti suicidi in pensioni non rilasciate e cumuli di denaro usati come cartine da banche spietate. E dal filo ci si lascia cadere, guardando nella caduta le stelle rimaste lassù e a cui si cerca di dare una spiegazione del proprio gesto.
E dal filo cominciano a farti saltare una siepe e poi un muro che nasconde il limite di uno strapiombo e quanta paura nascosta in luoghi di incertezze. Qualcuno si ferma e si accuccia tremolante, rinchiuso su se stesso come un cane senza casa e senza casa attaccato saldo con le mani al filo aspettando che finisca la pioggia.
Una colonna di fumo e un campo di battaglia. Gladiatori funamboli e chi si ferma è perduto. Così il dado è tratto.
Uno, due, tre, quattro, conto i passi dei miei piedi stanchi, così incattivito, così annoiato da esser stufo di questo paesaggio. Quanta destrezza nella voglia di cambiamento, ma che sia lento districato tra il rumore del vento e immerso da un convento fatta di famiglia, studio e intento. Il mio studio, la mia ragazza, il mio voler camminare su questo filo e di passi ne ho fatti duecento. Tutto a misura di noi stessi, reinventandosi con uno stato di facebook e di carta igienica usata nei cessi. E siam così bravi e così complici da esser indivisibili e invisibili ai nostri occhi, dolci balle di fieno che rotolano rotolano e accumulano accumulano. Dobbiam accumulare. Che sian soldi o sian rabbia poco conta. L'importante è rotolar e accumular.
Quanto poco rispetto nei miei confronti, tanto da prendere le forbici e tagliare.
Fi/lo via.
Cado.