Fogli di Febbraio

venerdì, febbraio 15, 2013 - Pubblicato da Dan Angelo alle 18:31


Troppi fogli bianchi. Come di consueto ultimamente non riesco a scrivere, avere voglia di condividere qualcosa ed esprimerle in parole, mettere le idee su inchiostro. Non ho idee: solo pensieri vaghi, tanti puntini sul foglio da poter ottenere una creatura mistica, ma il risultato è sempre qualcosa di informe che non dice niente, non convince. Essere interessanti, questo quello che ci vuol competere poiché si vuol scrivere sempre qualcosa di prezioso come per aggiungere uno scellino d'oro nella mia(vostra) sacca di monete e poter spendere come polline nell'aria in primavera. Ma non sempre succede e mi ritrovo in difficoltà come quella parola che si piazza sulla punta della lingua e che rimane là chiusa tra i denti muta e silenziosa senza poter esprimere il proprio concetto premettendo che ci sia. E' la routine di un giorno come un altro, di una biblioteca copiosa e di un esame non dato. Dannato tu sia bianco e nero della monotonicità, eterna mortalità dell'uomo che con le tue scale di grigio non ci fa distinguere un drappello rosso da quello nero, dunque è così che ci si ritrova ogni volta a disperder parola di noia, a parlar di noia e di quello che si vorrebbe fare: non è forse vero che si passa troppo tempo a discutere dei propri intenti e niente di quel tempo viene usato per poterli dipingere sulla tela della propria vita?

Ahimè come contadini ci spezziamo la schiena per coltivare il nostro raccolto di dubbia piantagione, una catastrofe giocare d'azzardo con la nostra sussistenza, le nostre soddisfazioni e i nostri motivi d'orgoglio. E' tutta una sorta di indebitamento mentale che abbiamo nei confronti di un determinato noi stessi, che a sua volta è condizionato dalle congiunture che si sovrappongono come spicchi di un'arancia per mantenere un'interezza adeguata per far si che si rimanga a galla come boe in un viscido mare di vita. E così dal tempo delle proposizioni si passa alle lamentele, e così ancora alla noia.
Ci piace così infondo, no?

E piano piano ci si accartoccia come un foglio di un tema che non ci piaceva e abbiamo cestinato come niente, accartocciati come la pelle della mia prozia, così accartocciata che era diventata un cristallo appoggiato sulla panchina di tutti i giorni, leggera come polvere appoggiata sulla mensola e nelle sue rughe passava il vento di ogni giorno inesorabilmente. Povera prozia, non un albero, ma un albero tornato ramoscello che si scuoteva lento ad ascoltare solo rumore di vento.
Oggi sono come lei un ramoscello: lento intento di una mano su una tastiera, privo di un'intenzione vera e di un'idea concreta. Che palle, penso.
Quante risate si sarebbe fatto Carlo V, così intenti noi a impare a memoria parole che narrano la sua storia quando lui alla nostra età saliva sul trono di un impero. Pff altro che dominus mundi.  Così non ho niente da regalare, né per me né con chi con me il piatto lo vuole condividere e nascosti dal freddo di un inverno ormai che sa di rancido,  in attesa (tanto per cambiare) di una più colorata primavera.

Ma questo cambiamento non facciamo che aspettarlo, sembra che per attenderlo sia diventato una chimera e questo forse il nostro più grande errore e come ogni giorno mi tengo questa sensazione.
Così si torna a casa in bici con un po di fiatone, ma con un pensiero in meno sul blog annoiato quanto il suo scrittore. Domani si torna in biblioteca, ma il sabato dice no e questo è l'evento più grande di una settimana di noia dove il cambiamento è la chiusura di un convento.
Forse faremo qualcos'altro domani, ripeto domani. Bah va come viene, chi lo sa, si vedrà, ma non ci siamo un po' stufati? Vediamo domani...