Passeggiare

sabato, ottobre 16, 2010 - Pubblicato da Dan Angelo alle 19:37

La piccola goccia di rugiada scivolava dolcemente sulla delicata superficie di una foglia. Cadde verso il basso posandosi sulla sconfinata distesa della stesso colore della speranza. Le oscure nubi finalmente erano state spazzate via dal liberatorio soffiare del vento. Ora il sole dominava quel luogo incantevole, attento contemplatore del paesaggio che si mostrava come un giocoso bambino davanti alle dolce carezze dei suoi raggi.

Tempo e spazio sembravano non far parte di quel mondo.

Due curiose figure si erano ritrovate soavemente distese sul soffice letto verde. Le affusolate nuvole bianche che si distendevano nell’infinità di quel cielo terso, limpido e sincero, galleggiavano assumendo la forma delle più strane immagini.

La fantasia riempiva l’aria.

Sorrisi spensierati accompagnavano la divina sinfonia che rieccheggiava all’unisono con il soave piegarsi dell’erba al vento. I fiori in festa indossavano i loro vestiti più belli, dipingendo di colori sgargianti quel quadro straordinario. D’un Tratto denti di leone spargevano i loro semi che libravano nell’aria.

Irreale Pace.

Correvano in quella semplicità.

Un piccolo torrente azzurro come il cielo si divertiva a far risplendere l’intensa luminosità del sole. Tra quei giochi di luce lo scorrere delle sue acque produceva un languido suono, altro strumento di quell’incredibile orchestra.

Le due figure si sentivano sorprendentemente vicine. Una mano stringeva a sé l’altra. Completo abbandono.

πάντα ῥεῖ. Panta Rei.

Il tempo proseguiva inesorabilmente muto, in silenzio. Il sole andava a riposarsi bruciando il cielo di un rosso rovente. La luna, seguita dalle peregrine stelle, sussurrava una candida buona notte.

Il temporale era finito. Era una bella giornata.

Pezzi di città n3

martedì, ottobre 12, 2010 - Pubblicato da Dan Angelo alle 19:06

La gente guarda davanti a sé seguendo una immaginaria linea retta, mentre si impegnano a sommare parole messe a caso per colmare il cammino. Ciò che è intorno non esiste.
Intanto la pagina di uno spartito si volta e da il via.
In mezzo alla centrifuga di oggetti fuggenti, vecchie melodie di melanconici ritmi blues colmavano l'intorno.
Nulla sembrava fermo, tutti vorticavano nel proprio microcosmo.
Il vecchio sassofono, inondava di emozioni il tutto e le regalava a chi voleva, donava.
Un cappello a terra e l'uomo raccontava di sé soffiando nel suo amico di esperienze passate.
Non chiedeva nulla che qualche spicciolo da mettere nell'anonima camicia colorata a quadrettini, accostata da corti jeans blu.
Solo chi era distratto mostrava gli occhi.
Suonava e le persone passavano.
Emozionava e le persone passavano.

Pezzi di città n2

Pubblicato da Dan Angelo alle 18:58

Ci sono quelle figure colme di caramelle.
Come un bambino goloso le cominci a mangiare una ad una: son buone, buonissime fino a quelle che ti addolciscono per bene. Il dottore ti punta il dito con sguardo serio e razionale, ricordandoti sempre che le carie fanno male.
Ma quasi involontariamente continui a mangiare.
Ormai quasi tutte le caramelle ti son piaciute che guardi con dolcezza quella figura che le teneva tutte strette a sé, il peccato è stato farle assaggiare anche a te.

Pezzi di città n1

Pubblicato da Dan Angelo alle 18:52

Gregge di pecorelle giocavano a nascondino con il sole.
L'erba di Ottobre verdeggiava sul piatto sfondo dell'asfalto.
Tra il sottofondo di passanti ingranaggi irrompeva senza violenza l'innocente canticchiare di una tenera bimba che allargava le braccia come per decollare. Decollare lì con gli uccelli tra le vie senza traffico delle loro strade.
Delicato era il posarsi del tiepido e confortevole calore con l'inverno che freme.
Scuri capelli legati spiccavano nel riflesso di parole nate dallo scendere dell'inchiostro su piccole case di carta.
Sguardi in basso, poi in alto, poi intorno, poi di nuovo in basso: pupille attente alla ricerca di chissà che cosa.
Gambe incrociate per un tavolo di fortuna, basso quanto basta per inarcare la fragile schiena.
La curiosità è invadente: non tollera l'ingombrante non sapere niente. I neuroni sollecitati si facevano domande nell'inerzia, ma alla fine presero la porta più vicina.
Ecco la stanza dell'immaginazione che aveva una grande finestra dove appoggiare il gomito e guardare.

Scosse

lunedì, ottobre 11, 2010 - Pubblicato da Dan Angelo alle 19:20

Giudizi universali.
Valanga di parole date al vento e dal vento ritornano come lontani echi di montagna. Neve che si scioglie al contatto con le mani: acqua dura che scorre via a piccole gocce.
Sensazioni ad occhi chiusi che rendono colore ad un nero poco sfumato.
Perdita di controllo del mondo circostante, pelle a pelle, confusione a confusione.
Istanti di eternità.
Su e giù di onde che scivolano con incertezza e timore in terre da scoprire.
Tremore.

A malincuore la marea si alzò.

E' ora

martedì, ottobre 05, 2010 - Pubblicato da Dan Angelo alle 03:32

SBAM.
La porta si chiuse con violenza.

Ero scombussolato, confuso e per non so qual motivo ero seduto su una sedia. La testa mi doleva, la mia mente era chiusa in un labirinto di una prigione instabile: in pochi secondi scorrevano infinità di immagini così velocemente che era impossibile riconoscerle. Cominciai a scuotermi seduto in quella sedia finché non caddi sdraiato su un fianco. Il mio respiro era affaticato e aprivo bene la bocca per recuperare tutto l’ossigeno che in quel momento mi era mancato, mentre il mio cuore batteva la testa su e giù per la gola. Piano piano ritrovai i sensi, avevo le mani legate e da terra cominciai a guardarmi attorno: totalmente bianco, una luce doveva provenire da una grande finestra. Quel pavimento, quelle pareti sembravano così dannatamente bianche che sembravano non avere profondità.

-Sto impazzendo- dissi tra me e me.
-Non stai impazzendo- In quel momento sentii una voce femminile e feci uno scatto appoggiandomi con la schiena sulla parete più vicina.

Mi girai verso l’angolo sulla mia destra guardando dal basso e vidi i suoi piedi. Era scalza, i suoi piccoli piedi erano lasciati lì a terra, mentre sembravano nascondersi come se si vergognassero. In quel momento il mio corpo come preso da vita propria era diventato indipendente. I muscoli erano tesi, le vene si gonfiavano, il sudore freddo scorreva dalle tempie fino a cadere a terra dal mento e il cuore pulsava su qualunque parte del corpo. Non capivo niente, la mia lucidità si stava facendo a pezzi. Mi feci coraggio e mi morsi il labbro, così forte che cominciai ad assaggiare il mio stesso sangue.

Piano e senza fretta osai alzare poco a poco lo sguardo. Lei era seduta su una sedia a ginocchia unite, aveva una posizione statica e vidi l’orlo del suo vestito di blu spento, quasi grigio direi. Sopra le gambe vidi le sue mani, anche quelle fermissime ed erano poste una sopra l’altra che tenevano strette delle chiavi: dedotti che erano per le mie manette.
Volevo dirle qualcosa in quel momento, ma ero come paralizzato. I suoni non facevano parte di quel mondo. Così, come destinato alla fine, presi un respiro profondo e alzai ancora un poco lo sguardo fino a riuscire a vedere il suo corpo esile e leggero. Vedevo che sulle sue spalle cadevano lunghi capelli scuri, quindi il suo collo e poi la sua bocca.

L’espressione della sua bocca era indescrivibile.
Sorrideva, ma non sorrideva. Ti raggelava il sangue, ti pietrificava completamente. Era un sorriso dolce, ma crudele e spietato. La sola vista ti feriva del tutto. Le mie stesse viscera si stavano annodando in un passivo rifiuto di quella presenza.

Tutto ciò era talmente paradossale che non potevo più credere a tutta quell’assurdità, quando sentii nella mia testa la sua voce dirmi -E’ ora.-
Il suo sorriso accentuò l’espressività, la sua sfida e la sua crudele dolcezza.
Io deglutii.
La guardai negli occhi.

Girare la maniglia

sabato, ottobre 02, 2010 - Pubblicato da Dan Angelo alle 01:52

Eccola, entrava. Quasi a punta di piedi, il suo passo era silenzioso e cauto. Era stranamente buio in quella stanza e l’aria era acuta e gelata, sapeva d’autunno. Lei, si notava subito, aveva modi gentili poiché si notava da come si era piano piano insinuata senza rumore in mezzo alla camera e aveva posato delicatamente i suoi pennelli. Cominciò a guardarsi attorno, non vedeva granché, intravedeva un letto disfatto con le lenzuola a terra, particolari mobili impolverati in legno e strani quadri sulle pareti che rappresentavano strane storie, tutto ciò illuminato dalla tenue finestra che permetteva a uno spiraglio di luce di dare un tenue alone di blu. Con lo stesso dolce muoversi, senza essere invadete, la ragazza si avvicinò la finestra e con un piccolo cigolio volle riconsegnare tutto ciò al sole.
Fu luce.
Si voltò e le comparve una strana camera, con il sopracciglio alzato cominciò a curiosare in giro un po’ perplessa dallo strato di polvere e un po’ incuriosita dagli strani oggetti. Cominciò a soffiare. Ogni cosa prendesse in mano, dalle migliaia di pagine strappate sparse qua e là che riprendevano biancore, a quelle due scrivanie e mobiletti, lei ci soffiava sopra così venivano liberate dalle lenzuola di polvere che cominciarono a fluttuare. Lei ogni volta starnutiva, si stropicciava il naso e cominciava a ripulire tutto. Ogni quadro, ogni lettere, ogni strano ornamento di quella stanza lei puliva, starnutiva e cominciava a osservarla stranita, affascinata come da un oggetto di studio. Scorreva il dito sullo strato di polvere e se lo guardava strusciando il dito e il pollice per ridare quel tempo al vento.
La stanza era bianca.
Ma finalmente pulita. Si era riseduta in mezzo, anzi stavolta ci si era proprio sdraiata e chiuse gli occhi, cominciò ad ascoltare la stanza. Avvertiva che era particolare, non era proprio qualcosa di comune. Sistemò in ordine anche il letto e ci si sedette sopra. Era morbido, anche se il cuscino sembrava freddo quasi bagnato. Poi incrociò lo sguardo con i suoi pennelli a terra: quella stanza era ormai un po’ sua.
Cominciò a colorare.