Nel lago

lunedì, dicembre 12, 2011 - Pubblicato da Dan Angelo alle 01:02


"Lasciatemi stare qui in questa pozza d'acqua, con gli occhi chiusi e la faccia rivolta verso l'alto, mentre a galla io faccio il morto."
C'era quest'uomo o ragazzo che aveva deciso di rimanere morto a galla nel piccolo lago del villaggio degli abitanti che non sapevano nuotare. Il nome del villaggio non è affatto casuale, dato che in quel villaggio fatto di contadini e qualche fabbro nessuno ha mai avuto la necessità di dover imparare a nuotare. Così i viandanti di passaggio avevano chiamato quel luogo non segnato sulle mappe in quel modo curioso. Quel ragazzo se ne stava così, era arrivato a un certo punto della sua vita nel quale aveva deciso che doveva starsene lì lontano da quel villaggio e dalle persone alle quali era legato.
Posato sulla fine superficie, ad un tratto fu sopra un manto d'erba fresca di quella primaverile che puoi avvertire il profumo o starnutire dall'allergia. Mentre il verde dell'erba era chiaro e vivo, il cielo rispondeva alla chiamata con una notte luminosa dove una grande luna bagnava il ragazzo con la sua luce. I pensieri della vita si facevano vuoti di senso e libravano nell'aria dentro bolle di sapone esplodendo in arcobaleni di immaginazione. Tutto l'ambiente vibrava emettendo energia calda e tenue ad ogni lento battito del suo cuore.

Dal villaggio la gente cominciò a sparlare del ragazzo sottovoce, come di un incredibile evento ma che non dovesse per questo deturpare la tranquillità del posto. Tutto doveva rimanere come era, nessuno poteva visitare quel ragazzo e anche se qualcuno avesse voluto era pur sempre il villaggio degli abitanti che non sapevano nuotare.

C'era una bambina che andava in giro sempre con i suoi colori e amava imparare ad annodare le corde dei propri animali per portarle in giro ai pascoli. Una sera ascoltò una conversazione dei propri genitori riguardo il ragazzo del lago, lei presa dalla curiosità non si negò la volontà di andarlo ad osservare.
La piccola bimba andò alle sponde del lago e dietro un cespuglio cercò di sbirciare il ragazzo che se ne stava lì a galleggiare. Rimase lì cercando di ascoltare qualcosa, quando a un certo punto venne presa di forza alle spalle e portata via. Era suo padre che la rimproverava severamente ricordandole le regole del villaggio alle quali doveva obbedire e che le era imposto di non avvicinarsi per qualunque motivo al lago. Lei pianse.
Ma ogni tre sere andava di nascosto al lago.
Chissà se imparò a nuotare.

L'erba continuava a crescere tutto intorno.
Volete sapere se il ragazzo esce dal lago?
Beh, dipende dalla bambina.

Coriandoli a Natale

mercoledì, dicembre 07, 2011 - Pubblicato da Dan Angelo alle 18:03

Mi hanno messo in alto, sopra le teste della gente. Mi piace nascondermi e subito dopo farmi vedere,  le persone che passano si voltano verso di me osservando questo mio strano comportamento. Sono fatta per essere ammirata e per far ammirare gli oggetti che avvolgo con la mia malizia. Ho tante sorelle e facciamo questo gioco in gruppo, magari ci alterniamo, cambiamo posizione, insomma le regole le decidiamo noi!
E ci divertiamo anche fa freddo, ma il freddo è il nostro habitat naturale. Amiamo danzare attorno agli abeti, più sono grandi più siamo noi per ballarci attorno. Siamo fate della notte, come le stelle ci mostriamo.

Ed eccomi qua come ogni anno tra pacchi di regalo e guanti e giacconi. Guardale quelle persone, sembrano camminare più strette fra di loro per tenersi al caldo.
Tornerò in letargo dopo le feste, ma quando sarà di nuovo il tempo sarò scattante per sorridere e ballare.
Sono una luce di natale, sono il coriandolo di capodanno.

Ti racconto le filippine

Pubblicato da Dan Angelo alle 06:14
Allora non saprei bene dove iniziare, ma allora iniziamo con ordine mm.. Erano 6 anni che non tornavo nelle Filippine e al tempo avevo 15 anni: occhi diversi, pensieri diversi insomma tornare qui a 21 anni era un'altra cosa!
Il viaggio è abbastanza straziante, aereo per lo scalo a Dubai che ci mette circa sulle 6 ore su per giù e attesa di 3 ore per il prossimo volo. Così mi inoltro a girovagare per Dubai, diciamo meglio l'aereoporto di Dubai. Lucido, sembra passato a cera ovunque e le luci che rimbalzano da una parete all'altra. E' interessante come qui l'oriente si mischi con l'occidente come centrifugati insieme: europei, americani, asiatici, e mediorientali si affiancavano come se fosse normalità di tutti i giorni. Vedere seduti accanto sceicchi dai lunghi vestiti bianchi e occidentali dagli eccentrici cappelli erano come i soggetti di qualche strano reality show. E tutto comunque era unito in questo interessante mix che non mi dispiaceva affatto in fondo, appariva quasi come una società omogenea come poche lo sono davvero. Lasciate alle spalle i canti provenienti dalle sale di preghiera, presi il secondo aereo stavolta diretto a Manila.. altre 8 ore e arrivai finalmente.
La prima impressione è come l'olfatto sia colpito da una serie innumerevole di odori fortissimi. Sembrava di usare di nuovo l'olfatti, di sguazzare in un mare di profumi che venivano da tutti le parti. Erano cibi cotti, fuochi più in la, le auto, non so sembrava come se tutto impregnasse di un odore proprio.
Ovviamente poi faceva caldo, l'umidità ti stava addosso.. ma come dire poco a poco ti ci abitui! Inoltre nelle Filippine le giornate son piuttosto corte, alle 6 il sole già sta sulla via dello scomparire, così quando arrivai lì era buio.
I primi giorni furono abbastanza "d'ambientazione". Era veramente una sensazione strana, perchè era come se tutto luoghi e persone fossero in un posto lontano della mia mente e che quindi non mi erano nuovi. Sentivo come se oramai io fossi passato che non potessi più sentirmi presenza all'interno di quel luogo, me ne sentivo tirato fuori tempo fa orsono e ormai ne ero fuori. E tutto era come un capitolo finale di un libro, in pochi attimi mi si palesava lo stato delle persone e dei luoghi di anni prima. Non ho mai avvertito così fortemente la mano del tempo e qui la vita è molto più veloce.
C'è chi va e c'è chi viene no? Qui molti amici e cugini con cui passavo del tempo ormai ha un marito e dei figli, lavora cercano di andare avanti e c'è chi è andato lontano. Era strano ai miei occhi vedere tutto questo molto velocemente.
Io stavo a casa dei miei nonni, che si trova nella città provinciale di San Pablo a 2-3 ore da Manila a sud. Le città sono brevemente strutturate in questo modo: l'area urbana principale in cui vi sono servizi, negozi ecc. si trova più o meno al centro e si chiama "bayan" e a partire da questo centro si diramano strade verso l'esterno che sono divisi poi in una specie di quartieri/settori chiamati barangay dove sono situati i centri abitativi. Io per esempio stavo nel barangay di San Buenaventura.
Lo stato finanziario delle famiglie si nota soprattutto dalla bellezza e della grandezza della casa, insomma più avevi una casa bella più eri benestante. Chi stava meglio ha solitamente la casa sulla strada. Ovviamente salvi rari casi non sono frutto di qualche genio architettonico, bene o male si trattavano di un tetto di ferro spiovente e quattro mura di cemento. Le abitazioni comunque sono sempre basse, raramente di due piani e abitate da famiglie che generalmente sono molto numerose; tuttavia è qualcosa che apprezzo volentieri poichè aiuta tantissimo la socializzazione.. per esempio capita spesso di vedere le persone che passano di strada davanti la propria casa e poterle anche solo salutare e scambiarci due chiacchiere!
La casa dei miei nonni rispetto alla strada si trovava più all'interno della foresta e per arrivarci bisogna attraversare dei sentieri in terra battuta che diventavano scivoli di fango quando pioveva. Le abitazioni più all'interno erano in genere delle persone meno benestanti, quella dei miei nonni era un'eccezione e infatti negli anni l'avevano ingrandita sempre più.
Per far notare la differenza ti voglio far l'esempio che vicino c'è la casa dei miei cugini che sono in totale 6 fratelli (più alcuni con figli) e vivono in un'abitazione modesta e non c'è l'acqua correnta. Fanno il bagno vicino al lago dove scorre dell'acqua potabile e da cui prendono taniche d'acqua che portano in spalla ogni giorno, giustamente raccolgono anche l'acqua piovana. Inoltre non c'è il gas per cucinare, si usa sempre la legna. E non ho potuto non provar dispiacere, veder lampanti disparità come queste mettono un sacco di rabbia.. Veder con i propri occhi cosa significhi guadagnare il cibo è davvero diverso che leggerlo e vederlo in tv. La cosa che più mi ha fatto piacere e forse la cosa più bella che mi porto dal viaggio è che nonostante le disparità, mi son sentito dire dalle persone meno fortunate attorno alla casa dei miei nonni che sono come uno di loro, che mi hanno apprezzato che non sono schizzinoso o altro e che in qualche modo mi son riuscito a mischiare tra loro, mangiare con loro e stare con loro. E' stato come riscoprire i lato più semplice della vita, che non serve infondo tutto il denaro per essere comunque soddisfatti.. infatti c'era questo mio zio che vive raccogliendo le frutta che mi diceva "a me non interessano troppe cose, sto qui, lavoro e faccio il mio. Mi piace il posto in cui dove sono, mi faccio qualche bevuta con gli amici e sto bene". Mi aveva molto sorpreso la genuina semplicità con cui mi diceva quelle parole, quasi lo invidiavo. La figlia più grande di mio zio, Ayza.. quindi reincontrai aveva due figli. Un tempo, a 10 anni passavamo sempre il tempo insieme quando stavo lì. L'ho osservata tenere e accudire i proprio figli in braccio e forse per la prima volta ho notato la bellezza della maternità, di come era bella lei nei suoi gesti e nel suo essere madre. Era una dolcezza che non mi è rimasta indifferente.
E a proposito, è pieno di bambini lì! Una differenza dall'Italia è l'età media molto bassa, è piena di giovani e bambini. E' bellissimo e anche stancante avere questi bambini attorno. Non so bene perchè, ma per un motivo o per l'altro gli stavo molto simpatico e più e più volte mi prendevano come un albero da arrampicare eheh.. Era dolce come una bimba si facesse tranquillamente imboccare da me e non da altre persone. Hanno degli occhi così meravigliosi i bimbi, così giovani, vivi e soprattutto curiosi e sinceri. Non possono non strapparti un sorriso. :)
San Buenaventura è come un paesino dove ti conoscono tutti, basta che sappiano di chi sei figlio e poi è molto facile trovare un parente di qualsiasi genere! Mi capitava spesso di esser chiamato da persone che non conoscevo. In generale tutte le persone sono molto gentili e socievoli, ti puoi sentire davvero a casa.. anche se a volte essendo abituato a Roma mi mancava il fatto di poter girar da solo senza che nessuno mi conoscesse, a volte puo soffocare un po.
Per spostarsi verso un altro barangay o verso il bayan si usano i tricycle o più spesso le jeep. Ci sono queste Jeep lunghe che passano la strada e fanno un percorso prestabilito, aspetti sul ciglio della strada e quando ne passa una fai cenno con la mano per farla fermare e salirci. Si entra da dietro, e all'interno si sta seduti sui sedili ai lati. Capita di stare molto stretti e si paga al conducente direttamente che in modo quasi acrobatico mentre guida gestisce soldi e resti. La socialità mi sembra enfatizzata anche all'interno delle jeep poichè i soldi vengono passati mano per mano dai passeggeri all'interno, quindi c'è un passare continuo di gentilezze automatiche all'interno del veicolo. Poi per scendere si batte sul tetto e si dice "para" e come magia il mezzo si ferma solamente per te! Le jeep sono tutte personalizzate a secondo del gusto dei proprietari, quasi sempre c'è una citazione in cui c'è un riferimento religioso a Dio.
La religione è qualcosa di intrinseca all'interno della società filippina, essere credenti e cattolici è normalità.. anzi sarebbe stranissimo non esserlo. Mi è capitato di avvertire come reazioni di stupore quando affermavo di non essere molto religioso (Che bello essere l'eccezione ahah)
Il Bayan, il centro è un posto affollattissimo di macchine e jeep. L'inquinamento è altissimo causato sicuramente dagli scarichi non proprio a prova d'ambiente. I semafori si contano sulle dita della mano, quindi il caos stradale è completo nelle ore di punta. Generalmente si va in Bayan se si lavora lì, se si va a fare compere o se la propria scuola si trova al centro. Si possono notare al lato della strada i numerosi fili penzolanti dai pali di legno e che si diramano come ragnatele ovunque tra le miriade di insegne che riempiono le strade. Insegne, che sono molto diverse da quelle luminose che abbiamo qui in Italia.. solitamente son tutte colorate in vernice, messa una appiccicata all'altra. Come la gente che viene e va, si nota bene come i gruppi di persone si possano identificare dalla propria divisa o di lavoro o scolastica: si potrebbero classificare tranquillamente a una prima occhiata. Poi ovviamente quelli vestiti in modo più "casual" le potrei relegare alla classe "sto annà a compra da magnà" per dire in spudorato romano! Dal caos esterno, è sorprendente come siano molto efficienti, puliti e ordinati i locali all'interno di negozi e ristoranti. Tutto è posizionato col massimo ordine e valanghe di commessi e commesse di trattano come il miglioe cliente chiamandoti con l'appellativo di "Sir" o "Miss".
Tanti poi sono gli studenti e le studentesse che vanno in giro dopo la fine delle lezioni e vedi questa moltitudine di giovani in divisa che se ne vanno in lungo e in largo. Se dovessi fare un paragone con l'Italia, gli unici punti in comune che potrei trovari ahimè son le banche e i fast food.
Tornando alla tranquillità della casa dei miei nonni, questa si trova in mezzo alla vegetazione. Si può notare le palme spuntare in alto e qualsiasi cosa attorno a te prende una sfumatura verde. Ovviamente devi farti abitudine degli insetti, che c'è ne sono a bizzeffe! Le nuvole nelle Filippine son velocissime, se ti fermi con la testa rivolta verso l'alto le vedi come viaggiano a una velocità straordinaria, infatti il tempo come le nuvole cambia anche lui a una velocità straordinaria. Siccome poi era la stagione delle pioggie, c'è stato anche un tifone che ha tirato per 10 giorni. Non ho mai visto così tanta acqua cadere tutto insieme, sembrava che tutto il cielo dovesse scendere. E per 10 giorni non aver altro per la testa il rumore incessante della pioggia che picchia a terra, sentendo così solo rumore rumore rumore come un disturbo di sottofondo che copre la maggior parte degli altri suoni. Diciamo che la pioggia è un elemento indissolubile.
Ovviamente quando c'è bel tempo fa caldo e anche se si sta fermi si sente tutta l'umidità del mondo appiccicarti adosso e l'unica soluzione è una doccia. Non c'era sensazione migliore di una doccia fredda e rigenerante!
Come ho detto in precedenza, la vita delle persone in genere è molto semplice. Le persone cercano di studiare, chi non ce la fa si mette subito a lavorare. Non c'erano di solito grandi aspirazioni nella vita, basta avere una bella e buona moglie o marito e trovare il modo di fare soldi. E ovviamente i figli che nascono a flotte, penso anche che sia dovuto dal fatto che l'uso di contraccettivi non è ben visto. Per esempio mi han raccontato che se a scuola ti trovano un preservativo te lo requesiscono!
Da parte mia la comunicazione per me a volte era un fattore molto frustrante. La difficoltà di comunicazione e quindi la possibilità di intraprendere una vera discussione rendeva il fatto molto snervante. In qualche modo oltre a frasi molto semplici era come essere in qualche muti e non poter dire davvero quello che si ha nella testa. Per questo motivo non sono mai riuscivo ad approfondire certe cose e questioni. Anzi pensa che l'unica persona con cui ho avuto una discussione stimolante, è un mio parente laureato in ingegneria elettronica con cui abbiamo parlato di libri, film, di problemi e di società. Quindi una chiaccherata piacevole, anche se ovviamente lui prendeva un po troppo come riferimento Dio dal mio punto di vista eheh. Ma al di là di questo, la cosa sorprendente è stato scoprire in seguito che lui era matto ed era in cura, per questo i genitori erano tornati dall'Italia.
Uno dei spettacoli più belli secondo me è la notte. Tra il rumore dei grilli tra gli alberi, si può osservare un numero infinito di stelle sovrastare la propria testa e rendersi conto che sembrano proprio appesi lì sul cielo quei puntini luminosi. Sarei stato ore e ore con la testa all'insù fino a farmi venire un bel torci collo. Poi quando le stelle fanno spazio alla luna, questa l'illumina tutto intorno a sè come un grande faro pronta a sorvegliare e controllare l'oscurità nascosta dentro di noi.

Le Filippine.. le ho avvertite davvero come una casa dove tornare, come un posto originario a cui sono legato forzatamente. Spesso ho pensato se fossi nato e cresciuto lì, chissà come avrebbe inciso su di me e la mia persona.
Forse ci sono ancora altre cose che dovrei raccontarti. Ma per ora basta così.

Pretend we don't exist

lunedì, dicembre 05, 2011 - Pubblicato da Dan Angelo alle 16:18


Come la nuvola grigia che passa veloce sopra i tetti delle case, nasce pretend we don't exist. E' solo un titolo, niente di che. Parole diverse, concetti diversi. La realtà è il nostro delitto, alla ricerca delle nostre prove e passiamo tutto sotto i raggi ultravioletti cosa vediamo? Quali prove cerchiamo? Il violino accorda il nostro sottofondo e sguazziamo nel fango per sporcarci. Sporchiamoci del tutto. Intrisi di realtà andiamo avanti per il mondo, passiamoci una manica davanti agli occhi e cerchiamo di guardare. Così sporchi cosa ci rimane da vedere, non confondiamoci tra il fango. Rallenta il ritmo, rallenta il tempo, ci spezziamo in mille pezzettini scomponendoci e ricomponendoci come i tasselli di un tetris. Esistiamo e pretendiamo di non esistere. Il fango della realtà che ci appare copre tutto, ma cosa nasconde, cosa cela? Come miliardi di molecole che non vediamo, crediamo che non esistano eppure ci sono. Pretend we don't exist è un modo più profondo di attraversare le cose, di affogare nella loro essenza e attenti: non più lontani da ciò che consideriamo reale e vero, ma molto più vicini.
L'essere trasparenti, ci preclude l'esistenza?

sabato, dicembre 03, 2011 - Pubblicato da Dan Angelo alle 02:47

Dicembre è arrivato e come di consueto la città prende la scusa delle festività per vestirsi più colorata. Addobbi e luci lampeggianti che fanno da trucco ad anziani edifici come per ricordarsi cosa significhi essere giovani. Fa buio presto, l'aria è umida. Lascerò presto questa camera, queste luci sbiadite attraverso il vetro della finestra. Ho voglia di fumare oggi, bruciare insieme al tabacco e sparire come fumo nell'aria. Meglio di no, seduto con i piedi tra le mani, me li guardo e li scaldo un po'. Calore. Cucina. Accendo il fuoco per bollire un po' d'acqua, infilo la mano un po ovunque ed eccola qui la bustina di tè bianco. Guardala come si diverte andare su e giù dentro la tazzina, ci voglio provare anche io col dito. Brucia. Due dolci cucchiai di zucchero vanno bene, niente latte: oggi mi da acidità. Mi siedo e scaldo le mani attorno alla tazza di tè. E col cucchiaio mi metto a girarlo. Giro, giro, giro..

Serrande

giovedì, dicembre 01, 2011 - Pubblicato da Dan Angelo alle 05:10


E’ una storia come le altre. Unica come le altre.
Era notte fuori, stava per fare mattina e la luce filtrava tra le fessure della serranda. Disegni sul muro, foto di alberi spogli, post it lasciati un po’ in giro dormivano. Sul letto scomposto c’erano due figure trasparenti vaporosi nella notte. Lei dormiva. Lui non voleva.
Non si voleva perdere un dannato singolo attimo, non poteva perdere tempo a sognare.. lì no. Perché era lì che voleva stare. Cuori urlanti nella notte, si sincronizzano silenziosi come metronomi impazziti. Pelle contro pelle scivolavano i brividi intorpiditi dal sonno e respiri che segnavano attimi dopo attimi.
Occhi gonfi e capelli bagnati.
E’ tutto un tiptap nello stomaco,
ritmata vendemmia spremente occhi
labbra, mani, capelli.
Sconfinata crudeltà, sconfinato amore
e nausea, nausea, nausea.
Bianca e scoraggiata è la vela
trainante il petto, una testa,
una cesta di pensieri: vi affondano piedi
infelici, su vecchie orme di ieri.
L’oscurità regnava, non si poteva vedere nulla. Lui fece in modo di vedere i contorni di lei, dalla fioca luce che veniva. E la fissava. Perso, stava bene.
Crudele il tempo andava, come il conto alla rovescia di un bomba.
Presto doveva andare.
Voleva andarsene silenziosamente, con le scarpe in mano per non far rumore. Lasciando tranquilla lei, nella culla di Morfeo. Così prese i suoi vestiti in mano, li indossò e cercò di svicolare nell’altra stanza.
Ma si sentì chiamare, si girò e vide l’ombra di lei fuori dalle coperte.
E fu un esplosione di grovigli umani.
Collo, palpebre, labbra, naso, mento,
E braccia –
Braccia per abbracciare.
Il sole svegliava le finestre assonnate. Quando cercava di addormentarla e di andarsene, lei con gli occhi chiusi lo chiamava, allungava la mano e gli teneva la maglietta. Quando per un attimo egli riuscì ad andare nell’altra stanza, la trovò con le lacrime agli occhi. Lui si sentiva morire.
La tenne stretta ancora e ancora. “Stai bene ora?” Fece sì con la testa.
Finalmente lei si riaddormentò.
Lui le lasciò un biglietto e se ne andò.
Sapeva.. che quella era l’ultima cosa che avrebbe fatto al mondo.

11/12-7-2011

lunedì, novembre 28, 2011 - Pubblicato da Dan Angelo alle 20:16


E così ero partito. Sembra che l'aereo, prima di decollare, si prepari psicologicamente zig-zagando fra le curve della pista d'atterraggio e, una volta deciso con le ali tese, corra all'impazzata fino a sentire il suolo mancare sotto i piedi. Nella salita sento la pressione dell'aria che mi faceva rimbalzare come una palla in balia di forze sconosciute.
Fuori era una giornata calda e soleggiata, i raggi del sole si specchiavano vanitosi come piccole lucciole sulla superficie del mare. Quest'ultima si faceva sempre più piccola ed estesa dall'oblò da cui guardavo l'esterno.

Mi allontanavo da Roma. Dove per me era tutto in sospeso.
Così ero partito. Chissà.

Sono circa le 4 del mattino e mi lascio Dubai alle spalle. Dal finestrino non si intravede nulla, l'atmosfera soffusa dell'aereo si inebria della musica pop giapponese. Mi ha fatto impressione la vista delle donne completamente oscurate da un nero burka: solo gli occhi potevano collegarci. Mi ha trasmesso un senso di pesantezza, come qualcosa che non doveva appartenere a questo presente. Ho riflettuto poi sul lavoro delle hostess. Ne osservavo soprattutto una asiatica dal fisico minuto, capelli legati in maniera scrupolosa e trucco senza la minima imperfezione. La vedevo andare avanti e indietro per l'aereo aiutando e confortando i passeggeri con una gentilezza e una naturalezza quasi divina. Così quasi ero imbambolato a osservarla, particolarmente incuriosito di come svolgesse il suo lavoro, in quel modo quasi dolce e gentile. Poi all'atterraggio vederla con lo sguardo abbassato e affaticato, mentre premeva con le dita gli occhi stanchi. Mi ha strappato un sorriso. E' come se avesse ripreso la sua forma umana.

Ma torniamo a quando mancavano quattromila miglia a Manila.

I miei occhi rimanevano senza fiato nel vedere uno degli spettacoli più umili e intensi della natura. L'infinità dell'orizzonte si espandeva nella sua massima essenza e dalla sua linea perfetta nasceva il calore del giorno nuovo. La sfumatura dell'alba era meravigliosa. Da lontano vedevo la nascita di un giorno nuovo e come un neonato faceva piccoli passi a gattoni fino ad alzarsi a conquistare il cielo.

Viaggiare verso est sembra proprio così: allontanarsi dall'oscurità per trovare la luce.

Post It Gialli

giovedì, ottobre 27, 2011 - Pubblicato da Dan Angelo alle 02:04
La giornata moriva tragli spiragli di luce.
Mi sento in difficoltà, non ho bene in mente cosa io possa scriverti. Devo chiudere gli occhi, serrare le meningi e rivolgere le pupille verso l'interno per vedere il meglio possibile cosa c'è dentro me. Mi pare di rivedere quella stanza bianca, che descriveva un po di tempo fa, quando ti stavo conoscendo. Non so se ricordi.
In quella stanza sentivo come se tu fossi entrata e la facevi un pò tua. Trovar le parole giuste per poter distinguere bene i dettagli di come sia ora, mi vien difficile. Non riuscirei a usare frasi abbastanza adeguate.
Sembra che ci sia qualcuno che io non posso nè vedere, nè toccare.
Credo, anzi sono sicuro che quel qualcuno sei tu.

Il Muro

venerdì, ottobre 21, 2011 - Pubblicato da Dan Angelo alle 12:05

Nero.
Vuoto e Nero.

Si sentivano dei passi che arrivavano ritmicamente come gocce nel silenzio, decisi quanto lo sbattere delle dure suola delle scarpe contro il pavimento. Un faro si accese ed illuminò quella figura che continuava ad avanzare imperterrito.
Era un uomo a torso nudo che portava con se una grossa mazza. I muscoli erano tesi, si potevano vedere chiaramente le vene gonfie e il peso della mazza posata su una spalla. Lui andava avanti con lo stesso ritmo, senza accelerare nè rallentare. L'ultimo passo fu più corto e di colpo si fermò. Con entrambe le mani prese la mazza e la poggiò a terra con un greve tonfo.

Un altro faro improvvisamente illuminò davanti a lui e comparve dall'oscurità un muro. Un muro fragile quanto spesso, mattoni che incastrati l'uno con l'altro si erano imposti di fronte a lui.

Si fermò a guardarlo per un po di secondi.
Lentamente spostò i capelli con una mano.

I muscoli si fecero ancora più tesi, i denti morsero le labbra e le ruvide mani strinsero saldamente il manico della mazza. Tutta la forza di quell'uomo ora si scagliava contro quel muro, il primo colpo andò a segno senza timore. Il rumore dell'impatto fece tremare tutto intorno. Subito dopo aver preso un respiro e partì un'altra mazzata verso il muro e così continuamente, violentemente senza sosta. Il sudore scendeva dalla fronte giù su tutto il corpo di quell'uomo che scagliava tutta la sua tenacia verso quel muro.Tutto era scandito dal fiato pesante e dal rumore del ferro contro i mattoni.

Sbam.
A un certo punto fece breccia nel muro inerme. E da quel primo foro veniva della tenue luce solare, viva a differenza di quella dei fari.
Egli posò per un attimo la mazza e ci si poggiò sopra per riprendere fiato. Poi avvicinando la faccia contro quel buco, scrutò in silenzio quello che c'era al di là di quel mucchio di mattoni. Da quel viso teso dallo sforzo ne nacque un tenero e sereno sorriso.

Si asciugò il sudore della fronte con l'avambraccio e ricominciò a picchiare più forte di prima.
Sbam.Sbam.
Sbam..

Prigionieri

mercoledì, settembre 21, 2011 - Pubblicato da Dan Angelo alle 08:21


Schiavi e prigionieri
di paure e ossessioni
legati dalle possessioni
ombra delle luci di ieri.

Apparenza la libertà
stagnante è l'immobilità.

Silenziosamente sibilo sentenza
sugli strascichi di sanguinanti
sussisistenze.

Sono stanco
sono stufo.
Siete liberi voi
di farvi prigionieri.

Perdono, ma.
Non voi, ma io
indico e scelgo
i miei sentieri.

"Proverò a parlare di me...

domenica, giugno 05, 2011 - Pubblicato da Dan Angelo alle 16:58
...A presentarmi con parole mie. L 'ho fatto tante volte quando ero a scuola.Ognuno di noi a turno doveva mettersi di fronte alla nuova classe e presentarsi. Era una cosa che odiavo. O meglio, più che odiarla non ne vedevo il senso. Che potevo saperne io di me stesso? Ero proprio io quel personaggio che riuscivo a percepire con la mia coscienza? Proprio come quando uno non riconosce la propria voce incisa su un registratore, mi chiedevo sempre se l'immagine che percepivo di me stesso non fosse un'immagine distorta che mi ero fabbricato su misura. Ogni volta che ero costretto a presentarmi, mi alzavo in piedi con una sensazione di disagio. Mi sembrava di essere un truffatore. Per questa ragione cercavo sempre di dire solo fatti oggettivi, evitando interpretazioni o commenti: ho un cane , mi piace nuotare, non mi piace il formaggio eccetera. Malgrado ciò provavo lo stesso la sensazione di star parlando dei fatti immaginari di una persona immaginaria. Anche quando ascoltavo gli altri, mi sembrava che parlassero tutti di qualcuno che non erano loro.Tutti vivevano respirando l'aria irreale di un mondo irreale. "

Filo spinato

martedì, aprile 19, 2011 - Pubblicato da Dan Angelo alle 17:10

"Libertà l'ho vista dormire nei campi coltivati a cielo e denaro, a cielo ed amore, protetta da un filo spinato." Il suonatore Jones, Fabrizio De Andrè


Ferro, ferro ovunque. Ferro era la panchina, ferro erano i pali della luce, ferro erano le transenne, ferro erano le sbarre delle porte e ferro erano le recinzioni. Vicino, ma lontano era quel verde albero al di là dei confini. Fortuna c'è il sole che baciava me e anche l'albero, lui non si degnava di negarsi a nessuno, lui. Ma crudeli erano le nuvole feconde di pioggia che si mettevano fra me e il calore dei raggi. Bastava poco per rendere grigio tutto, grigio più che mai diventava il cupo asfalto specchio dell'intristito stato d'animo. Anime perse nel limbo del giudizio tra telecamere sull'attenti, in attesa di compiacere la divina istituzione per ottenere quel briciolo di libertà.
E' obbligo chiedere il permesso per toccare quell'albero al di là.

Il filo dell'apparenza

giovedì, aprile 07, 2011 - Pubblicato da Dan Angelo alle 23:38

Esco fuori dal tunnel del divertimento.
Apparenze appaganti, da sentimenti
tirati fuori dal corpo esplicati
per marchiare
profondità segnate sulla sabbia.

Superfici fragili come cristallo trasparente.

Anime legggere dallo scheletro inesistente,
sorrisi lucenti di nera carta e metallo sporco
lontani dalle soleggiate mete delle verdi colline.

Diari di bordo

giovedì, gennaio 13, 2011 - Pubblicato da Dan Angelo alle 01:47

(...) Ogni mia preoccupazione è volata via come vapore: era tutta supposizione della mia testa.
Alla fine non si tratta di essere sicuri delle proprie qualità, bensì si tratta di lasciarsi andare come il nostro essere si manifesta e vedere come va.
E se va come volevamo tanto meglio.
E se non va, significa che dovevamo imparare qualcosa.
E se non facciamo niente… NON FACCIAMO NIENTE.
Inibizione.

Scrivo in prima persona, anche se di solito non mi piace farlo. Mi sento esposto, vulnerabile nel farlo.
Perché sono io. Così. Sparato. Diretto. E non mi piace stare nudo senza protezioni.
Se lo faccio significa, il più delle volte, dovermi in qualche modo alleggerire o svuotarmi. Così di getto. Così io. Io.
Ma non stavolta.
In questi giorni fantastico. (...)

Appunti Steve Mccurry - Portraits

(...) Diventa un problema. Uno di quei dannati piacevoli problemi. E me ne dovrei distanziare solo perché ho il terrore della verità e della realtà che potrebbe deludermi e non voglio affrontarla. Basta. Basta. Ogni volta lo stesso blocco. Ma buttarsi così solamente a capofitto? E lo sai benissimo. Eppure ti fermi sempre. Basta. STOP.
Dai retta alle tue sensazioni. Non solo quando puoi farlo senza danni. Perché danni non ne fai. Al massimo te ne fai a te stesso. Dai, cazzo. (…)

(...) A quel pensiero che a piccoli sorsi lontani, potevo alimentare. Poterlo alimentare mi agitava, mi strappava un sorriso. Mi permetteva di fantasticare su quella persona sconosciuta e alla mia idea di lei. Volevo avvicinarmici, sussurrarle timidamente a distanza e ogni piccolo segno che lei fosse pronta a tendermi la mano mi estasiava i pensieri. Bella Botta.

Ho voglia di imparare, continuamente e costantemente. Ci vuole impegno e concentrazione.
Sapere. Sapere. Sapere. Imparo. Imparo. Imparo.
Forza, determinazione.

Di notte è più bello. Vogliamo buttarci.

Quando tutto ciò diventa improbabile e incomprensibile e incontrollabile non sappiamo gestirci e ci piace.

(...) Continuare a migliorarmi.

E alla fine va sempre così, tanto per caso, per coincidenze o per destino che sia. Una persone che stava lì all’angolo della tua vita, un giorno prende, si avvicina e ti altera l’equilibrio della tua esistenza. E mi sta prendendo. Diamine… per ogni parola detta in più, ogni attimo che si condivide… ci si sente più vicini e legati come due persone piano piano si annusassero finché non conciliano il proprio odore con quello dell’altro. Ci dovrebbe essere una certa chimica, un certo determinato tempo per far in modo che questo avvenga così spontaneamente e incondizionatamente. E la voglia nascente che tutto ciò avvenga. E’ qualcosa di profondo e speciale. Avvolgente.

(...) sentire i suoi occhi che guardano, anche se mi imbarazzano (...) scorrere delle morbide mani (...)

(...) Non è una giornata vissuta. Credo invece di essere un po’ apatico. Fermo appunto: vorrei che un po’ tutto il resto lo fosse… giusto per darmi un po’ di tempo. In realtà sono così pieno di parole che non voglio usarle. E sono a migliaia.
Cado. Semplicemente cado.
Ma rimango lì sospeso:
tra una cima non raggiunta e
una terra su cui scontrarsi che non vedo.

Press play

martedì, gennaio 11, 2011 - Pubblicato da Dan Angelo alle 04:03
il mondo che cerchi
si mette in pausa
tu guardi i centri
ti metti in pausa

Il costo dei valori scende
solo accessori aggiunti
lì la lampada pende
insignificanti sconti

la vista è ferma
frenata dalla voglia
sempre lì l'orma
seduta rimane spoglia

Poi senti insorgere
il volare della polvere
fuori non è pausa
dentro è pausa

Press play.