Jazz per l'autunno

lunedì, novembre 17, 2014 - Pubblicato da Dan Angelo alle 19:55


Finestre bagnate dalla pioggia, lente lacrime di sudore dell'autunno che faceva il suo dovere per disegnare sul vetro lo scorrere delle nuvole. In fondo alla stanza il contrabbasso che scandiva la melodia jazz che rendeva l'atmosfera opaca, annebbiata dai fumi delle sigarette accese prima e dai liquidi dei cocktail poi.
Era un tardo pomeriggio di un locale a LA, di quell'america lenta e sporca di un Kerouac qualunque: in quel momento il posto perfetto per me, perso a cavalcare le note basse di un sassofono che piangeva la sua malinconia. Con una mano avrei agitato il mio whisky senza ghiaccio, ci avrei guardato dentro come se mi ci dovessi specchiare per poi buttarlo giù affinché sentissi il sapore forte del mio essere stesso. Subito dopo sospirare e mordermi la mano chiusa per guardare da lontano quegli occhi neri che vedevo attraverso un fessura tra le figure delle persone, forse per decifrarne l'incanto, forse per essere solamente curioso o solamente per attirarli da me.
Piuttosto credo che sono un cuore debole io e non sono mai voluto andare da un medico per fare un controllo, per appurarne la verità. E' così quando si vuol decidere di non essere qualcosa. E' così che consciamente o inconsciamente ho sempre deciso di non essere qualcosa.
Eppure con il costante desiderio di essere qualcosa.
Ed a un tratto, cosa doveva succedere di significativo in quel momento? Beh, nulla.

Mi alzai dal mio sgabello e frugai velocemente le tasche del mio vecchio giubbotto nero, dalle quali cadde il mio portafoglio. In quel momento gli occhi neri erano mani che si mossero, come se fossero un'espressione dell'arte stessa, per raccogliere da terra il mio portacarte e, lentamente, tirare fuori il mio documento scrutandolo tale che pareva lo guardassero da dietro il vetro di un bicchiere. "Ciao Peter" dissero quello mani.
E in quel momento un bicchiere si ruppe.
Come d'incanto ero fermo a guardare il mio stesso bicchiere vuoto e scossi la testa come per cancellare momenti mai accaduti. Pagai il conto in fretta ed uscii da quello che in realtà era un comune bar di Roma, con il gestore che aveva più le sembianze da ultrà che da sopraffino barman di Los Angeles.

Per lo meno l'autunno parlava la stessa lingua e anche qui le foglie cadevano ritmicamente una dietro l'altro come le fantasie che ubriacavano la testa. Nel cielo gli stormi di uccelli formavano grandi parate come se fosse una grande cerimonia per inseguire il sole lontano da qui. Cominciai a passeggiare per il mio vecchio quartiere, un quartiere stanco che non si voleva più mostrare come se le sue vie fossero state fatte più per nascondere che per farsi ammirare. I fili intrecciati su cui si stendevano i panni, invece, restavano muti strumenti nella mani delle vecchie signore alla ricerca della proprio pensione, un breve ricalco di una fotografia con la didascalia "Ciao da Roma".
I musicisti Jazz non erano nient'altro che note perse per le strade e le custodie degli strumenti salvadanai che non si arrivavano mai a rompere: nessuno è riuscito mai a scuoterli per sentirli pieni.

Qualcuno potrebbe dire che sono uno di quelli a cui piace perdere tempo, se mai il tempo si perdesse. Esso si perde solo quando si è da qualche altra parte rispetto al luogo in cui si vorrebbe essere o che si ritiene più importante. In termini materiali, dove si può spenderlo. In termini immateriali, che palle. Consumare, spendere e produrre.

Girai l'angolo nella piazza dove mi piaceva vedere i bambini correre e giocare, poi i genitori se li portavano via in braccio o con il passeggino. Loro che riescono a guardarsi ancora intorno mi notavano. Sorridevo, e loro sorridevano.
Ma all'improvviso poi vidi quegli occhi neri poggiati ad un muro ed anche loro si guardavano intorno. 

Ed a un tratto, cosa doveva succedere di significativo in quel momento? Beh, nulla.
Quella volta mi avvicinai. Dissi qualcosa. Loro dissero qualcosa.

"Ce l'hai fatta".
"E ora?"
"Ora? beh, nulla".

Con una mano avrei agitato il mio whisky senza ghiaccio, ci avrei guardato dentro come se mi ci dovessi specchiare, per poi buttarlo giù affinché sentissi il sapore forte del mio essere stesso.
Sentire che sapore hanno i miei occhi neri.