E' ora

martedì, ottobre 05, 2010 - Pubblicato da Dan Angelo alle 03:32

SBAM.
La porta si chiuse con violenza.

Ero scombussolato, confuso e per non so qual motivo ero seduto su una sedia. La testa mi doleva, la mia mente era chiusa in un labirinto di una prigione instabile: in pochi secondi scorrevano infinità di immagini così velocemente che era impossibile riconoscerle. Cominciai a scuotermi seduto in quella sedia finché non caddi sdraiato su un fianco. Il mio respiro era affaticato e aprivo bene la bocca per recuperare tutto l’ossigeno che in quel momento mi era mancato, mentre il mio cuore batteva la testa su e giù per la gola. Piano piano ritrovai i sensi, avevo le mani legate e da terra cominciai a guardarmi attorno: totalmente bianco, una luce doveva provenire da una grande finestra. Quel pavimento, quelle pareti sembravano così dannatamente bianche che sembravano non avere profondità.

-Sto impazzendo- dissi tra me e me.
-Non stai impazzendo- In quel momento sentii una voce femminile e feci uno scatto appoggiandomi con la schiena sulla parete più vicina.

Mi girai verso l’angolo sulla mia destra guardando dal basso e vidi i suoi piedi. Era scalza, i suoi piccoli piedi erano lasciati lì a terra, mentre sembravano nascondersi come se si vergognassero. In quel momento il mio corpo come preso da vita propria era diventato indipendente. I muscoli erano tesi, le vene si gonfiavano, il sudore freddo scorreva dalle tempie fino a cadere a terra dal mento e il cuore pulsava su qualunque parte del corpo. Non capivo niente, la mia lucidità si stava facendo a pezzi. Mi feci coraggio e mi morsi il labbro, così forte che cominciai ad assaggiare il mio stesso sangue.

Piano e senza fretta osai alzare poco a poco lo sguardo. Lei era seduta su una sedia a ginocchia unite, aveva una posizione statica e vidi l’orlo del suo vestito di blu spento, quasi grigio direi. Sopra le gambe vidi le sue mani, anche quelle fermissime ed erano poste una sopra l’altra che tenevano strette delle chiavi: dedotti che erano per le mie manette.
Volevo dirle qualcosa in quel momento, ma ero come paralizzato. I suoni non facevano parte di quel mondo. Così, come destinato alla fine, presi un respiro profondo e alzai ancora un poco lo sguardo fino a riuscire a vedere il suo corpo esile e leggero. Vedevo che sulle sue spalle cadevano lunghi capelli scuri, quindi il suo collo e poi la sua bocca.

L’espressione della sua bocca era indescrivibile.
Sorrideva, ma non sorrideva. Ti raggelava il sangue, ti pietrificava completamente. Era un sorriso dolce, ma crudele e spietato. La sola vista ti feriva del tutto. Le mie stesse viscera si stavano annodando in un passivo rifiuto di quella presenza.

Tutto ciò era talmente paradossale che non potevo più credere a tutta quell’assurdità, quando sentii nella mia testa la sua voce dirmi -E’ ora.-
Il suo sorriso accentuò l’espressività, la sua sfida e la sua crudele dolcezza.
Io deglutii.
La guardai negli occhi.