Chiedo Troppo?

domenica, settembre 12, 2010 - Pubblicato da Dan Angelo alle 13:47
Prendere un secondo e sapere quante persone nascono, quante persone vivono e quante persone muoiono. Davanti al paradosso che è la vita, gli esseri umani si mostrano semplici ed elementari.  Così inconsci della nascita, così attaccati alla vita, così impauriti dalla morte. Anche quel giorno riecheggiavano i pianti di piccole creature che venivano al mondo, un altro essere umano aveva compiuto il primo passo verso la vita. Così in quello scenario che è il mondo, nuove vite, nuove memorie tracciavano il proprio passaggio e i percorsi si scontrano, si dividono, più lentamente, più velocemente, parallelamente, in senso contrario. Eric tracciava la sua. Dentro quella città dominava il caos e il traffico. Persone che andavano e venivano. Lì il movimento non si placava mai, un’eterna corsa. Sembrava l’incessante inseguimento di qualcosa, come un cane che gira attorno a se stesso tentando di prendere le propria coda. Lui stava seduto su una panchina, intento a guardare con aria indifferente, il contorto scenario Picassiano che si intricava davanti ai suoi occhi. Lui ,espressione perplessa e alienata, non faceva parte di quel quadro. Passò il suo sguardo da terra verso il grigio cielo della città. Poi lo riabbassò, aggrottò la fronte e suoi occhi scuri come la notte diventarono malinconici e consapevoli. – E’ davvero questo il mio mondo?- si chiese sospirando come davanti alla scoperta di una realtà che non voleva accettare. Tra i veloci piedi dei passanti, le luci dei semafori che ritmicamente alternavano i loro colori e le mani nervose degli automobilisti sul volante, Eric aveva gettato la sigaretta che nel frattempo il vento aveva consumato lentamente. Appoggiata la schiena sulla panchina, mise le mani in tasca e rimase lì tra i suoi pensieri che si concludevano quasi sempre con un punto interrogativo. Quella società lo avvinghiava, lo soffocava. Egli voleva spezzare quelle corde che lo imbrigliavano e fuggire da tutto ciò ed essere come quella farfalla che librando nell’aria nel suo candido volo spezzato poteva guardare dall’alto il paesaggio. Proprio cosi, voleva andare in alto, e cosi come una farfalla vedere il panorama del mondo, ammirarlo liberamente. Così Eric partì, non aveva un itinerario preciso, voleva solamente esplorare luoghi, conoscere persone, guardare la vita e comprenderla un po’ di più; da questa esperienza capire meglio se stesso e ciò che voleva realmente. Il ragazzo aveva eliminato inizialmente le grandi città o posti che avrebbero potuto ricordare la società alla quale si sentiva poco legato, per cercare fortuna in un’isola indonesiana nel pacifico. L’esperienza vissuta lì lo segnò. Una piccola goccia di rugiada scivolava dolcemente sulla delicata superficie di una foglia. Cadde verso il basso posandosi sulla sconfinata distesa della stesso colore della speranza. Le oscure nubi della stagione delle piogge finalmente erano state spazzate via dal liberatorio soffiare del vento. Ora il sole dominava quel luogo incantevole, attento contemplatore del paesaggio che si mostrava come un giocoso bambino davanti alle dolce carezze dei suoi raggi. In quel luogo incontaminato Eric aveva assistito alla semplice vita degli allegri abitanti, i quali davanti alla fame e alla povertà sembravano andare avanti imperterriti come incantati dalle piccole cose che la vita poteva loro offrire. Ma ciò che più colpì Eric fu la presenza dei bambini: il loro correre verso dei sogni, le loro voci spensierate che si perdevano tra il cantare degli uccelli. Sogni, sogni.. ma sapevano cosa erano i sogni? Eric aveva visto quei piccoli bambini che sorridevano, ma sapeva che non sorridevano per un giocattolo nuovo, o per un regalo portato da un papà. Sorridevano alla Vita. In quei luoghi non c’erano macchine, vestiti o personaggi famosi, ma solamente uomini vestiti di toppe e buchi che cercavano di scampare al fantasma della fame. Là i sogni potevano esistere? Eric aveva visto. Aveva visto piccole mani sporche dover portare pesanti secchi di acqua ,perché l'acqua a casa non c'era. Aveva visto piccole mani sporche prendere una matita colorata e stringerla come il tesoro più grande. Aveva visto piccole mani portare gli animali. Aveva visto piccole mani sporche tenere con curiosità un libro. Aveva visto piccole mani sporche cucinare, pulire, lavorare. Aveva visto piccole mani sporche sudare come quelle dei grandi. Aveva visto piccole mani sporche tenere le sue. Ma soprattutto, aveva visto grandi occhi che gli chiedevano com'era il mondo. Ma come poteva spiegare com'era il mondo? Il suo era poteva essere chiamato davvero così? Il mondo dove tutto è scontato. Il mondo delle mille possibilità. Il mondo dove una matita è solo una matita. Il mondo che guarda dall'alto in basso chi porta le toppe. Il mondo che tra le sue luci si ritiene superiore, avanzato. Che razza di mondo è? Anche lì Eric aveva visto, aveva guardato. Aveva visto mani pulite sprecare acqua. Aveva visto mani pulite gettare annoiate una matita. Aveva visto mani pulite inquinare. Aveva visto mani pulite rubare. Aveva visto mani pulite uccidere. Aveva visto mani pulite superbe. Aveva visto occhi spenti e tristi. Avevano tutto, ma sprecavano tutto. Avevano tutto, ma in realtà non avevano niente. Ecco perché il giovane decise di partire quel giorno e avere, poi, la certezza che il suo mondo non gli appartenesse. Inoltre comprese una cosa molto importante: gli esseri umani potevano apparire così uguali alla nascita, ma così diversi potevano mostrarsi alla vita. Un giorno Eric vide due bambini, all’apparenza fratelli che si tenevano per mano. Lui sorrise e sfiorando i loro sguardi gioiosi per un attimo sognò ad occhi aperti e vide il luogo in cui si sentiva destinato: la povertà che aveva visto non esisteva e lì, teneva strette altre mani che non erano pulite o sporche. Erano nelle loro sfumature tutte uguali. Da quel momento Eric riprese il suo viaggio, doveva vedere di più. Nel tempo che trascorse viaggiando scoprì situazioni non molto differenti, se non peggiori, dall’isola indonesiana. E con queste scoprì anche qualcosa a cui Eric voleva riflettere seriamente: c'è tanta ingiustizia.  La trovò negli occhi di un vecchio malato, di un bambino che piangeva, in quelli di un operaio sfruttato e negli occhi di una madre malinconica. Ingiustizia. L'ingiustizia che avvolge il mondo dalla quale secondo lui è facile coprirsi gli occhi e vivere o ancora peggio aprire gli occhi e rimanere indifferenti. Povertà, guerre, calamità e distruzione Eric li aveva visti da vicino, ma gli bastava accendere il televisore per poter vedere l’oscenità di questo mondo. Ma il più grande stupore per il ragazzo fu comprendere che a chi non toccava queste sorti, la vita per loro scorreva serenamente e tutto ciò finché non avvertivano il dolore attorno, non vivevano guerre, non vedevano la paura e la rassegnazione. Eppure si chiedeva se non sapessero che la Terra è il pianeta nella quale la vita ha preso luogo e l’uomo vive e, quindi, dove tutti gli uomini sono abitanti di essa. C’è chi come tanti ha una casa, un lavoro, un famiglia, magari anche dei bambini, tuttavia molti altri, che abitano questo bel pianeta blu, una casa, un lavoro o perlomeno cibo e acqua non la posseggono. Eric allora si guardò le mani. “Perché? Il loro sorriso e' il mio. Il loro cuore è come il mio. Le loro lacrime sono come le mie. Ma la loro vita non è come la mia. Perché?  Io mangio. Io bevo. Io vivo. Loro non mangiano. Loro non bevono. Loro non Vivono. E’ così folle e sciocco voler cambiare le cose e desiderare quell'uguaglianza che dovrebbe essere presente nel mondo? Quando il dolore è vicino e lo si avverte, si sa agire e si vuole curare. Ma è difficile comprendere che il dolore di un bambino, di una madre, di un anziano, di un adulto è presente ogni giorno, ogni ora, ogni minuto? C’è chi beatamente dorme, sogna, desidera. Ma con che coraggio dorme sapendo che ce un bambino del terzo mondo bisogna spiegare che cosa sia un sogno?” Eric si sentì profondamente cambiato, strinse la mano in un pugno. “Voglio cambiare il mondo. Voglio quell'uguaglianza, quella giustizia e quei diritti che devono godere tutti gli uomini. Voglio un mondo dove lui non è diverso da me, anche perché spesso si dimentica che si nasce uguali comunque. Voglio un mondo dove guardare in alto e poter dire con certezza che viviamo tutti sotto lo stesso cielo. Chiedo troppo?”