(La foto è totalmente casuale e nel racconto non è citata. Ma mettere di mezzo la municipale non fa mai male insomma.. sta sempre in mezzo al cazzo comunque)
C'è
sempre un diavolo secchio della spazzatura. Sì, dietro ogni fermata
si nasconde un secchio della spazzatura come a dirci “si, so che
nell'attesa fumerai una sigaretta: perlomeno cicca qui.” , o ancor
meglio “prenditi una birra, altera la tua situazione attuale che è
meglio, successivamente cerchiamo di sembrare sostenibili ed
ecologici: buttala qui dentro.”. Pochi, i salvati o i privilegiati,
sono sfuggiti dalla chimera della fermata dell'autobus. La vedi. Ti
avvicini inesorabile in quella palude di cemento, dove quell'elenco di autobus fatto cartello giallo ti
dice "mo so cazzi tuoi".
E' mattina.
Non ne
vuoi sapè un cazzo di nessuno. Sei in ritardo, fai colazione lo
stesso, altrimenti muori subito dopo. Ovviamente hai messo le mutande al contrario
con l'etichetta bella in vista alle tue spalle, che sembra cantare sul ponte sventola bandiera bianca. Esci dal portone di casa con un occhio
chiuso e l'altro pure, chiami l'ascensore. Poi pensi che almeno un
po' di musica mattutina, che ti accompagni nel tragitto,
funzionerebbe da lenitivo. Cerchi le cuffiette in tasca, un tal
groviglio che a saperlo Rubik si sarebbe esentato dal colorare le
facce di un cubo perché era divertente. Ovviamente lui, il
vecchietto del cazzo dell'interno 8, nel frattempo ti ha richiamato
l'ascensore che era arrivato sul tuo pianerottolo. Colorite Reazioni.
Ti
incammini verso la fermata dell'autobus sfilando gli ultimi fili
delle cuffiette, evitando pali e/o persone come se fossero proiettili
matrixiani, fino a quando ti rendi conto che arrivato esattamente a
metà tra la fermata e la tua casa avevi bisogno di andare in bagno.
Stringi le chiappe.
Scontato
dire che nel frattempo l'autobus era passato accanto a te e lo stesso vecchio di merda dell'interno 8 ti raggiunge con il suo bastone
chiedendoti “è passato l'autobus?”. Il bastone sarebbe stato un ottimo tappo.
Qui
inizia la tragedia quotidiana, di una storia ciclica e infinita.
La
mattina è il meticciato suburbano di chi aspetta alla fermata
dell'autobus e vicino al secchio della spazzatura ovviamente. Si
narrano storie di vecchi impressionisti dell'ottocento che rappresentavano
tal paesaggio, come uomini legati a lancette d'orologio appesi dalla
non fruibilità del tempo. Mentre eccolo dall'altra parte
l'automobilista, diviso dai pendolari dall'assicurazione del
veicolo e dall'azione civilizzatrice del parabrezza. Se la ride lui,
distratto e frustrato, superbo e altezzoso mentre osserva i poveri
condannati: una stazionarietà di anime in fila per Caronte. Semaforo
rosso e lui suona. “Che cazzo te soni” pensano tutti all'unisono
come un coro di muti.
Per
essere romantici quando ti guardi attorno sembri all'interno di una
foto color sigaretta di un proletariato urbano, almeno l'irritazione
delle facce dice quello. E tutti guardano nella stessa direzione,
come Colombo che scruta l'orizzonte aspettando di avvistare terra. Si,
ma quelle non erano le indie, idiota. Si, come quello non è l'autobus
che ti serve, coglione. E ad un tratto da un'ala della fermata si
sente come un sospiro di salvezza, come se ad un certo punto loro
erano i prescelti. Per noi, sfigati che dovevamo ancora aspettare, lo
erano. Si deve sempre arrivare a una meta, sennò si è smarriti.
Cazzate. Guardi l'orologio. Game Over, sei spacciato. Stavolta non
era tanto una cazzata. Il problema della giungla urbana è che non ci
sono scimmie, siamo tutti dei cazzo di naufraghi con uno smartphone
in mano.
Ma
tanto come sempre il bus arriva e inizia il pogo, ma il governo ha
dovuto tagliare la musica. Vedi un tuo ex compagno dei tempi della scuola da
lontano, fuggi verso la direzione opposta. Tagli la strada a una
sprovveduta vecchietta e ti siedi vicino al primo tizio, al quale non
riesci a distinguere la vetta del K1 dalla forfora che scendeva come
fosse stato Natale. Ti addormenti e l'autista ovviamente non deve far
altro che frenare per farti sbattere la capoccia contro il vetro del
finestrino. Almeno non mi son ritrovato al capolinea..